Riportiamo una riflessione della fotografa Beatrice Pavasini a seguito del laboratorio Ritratti tattili, da lei condotto insieme a Sonia Maccari, il 28 maggio a Dynamo all’interno della rassegna Handyamo, per il festival It.a.cà.
Buffo pensare di fotografare senza vedere, usare uno strumento che per definizione è “ottico” come una macchina fotografica senza usare la vista sembra paradossale, eppure oltre a risultati inattesi l’esperienza percettiva risulta essere notevole.
Ritratti Tattili è il secondo laboratorio di “fotografia senza vedere” che mi trovo a condurre, ed entrambi in meno di sei mesi. Mentre elaboravo il progetto del primo di questi venivo informata di un concorso fotografico che si stava svolgendo a Trieste aperto a fotografi non vedenti. Credo si definisca sincronicità l’avvenire delle stesse cose nel medesimo tempo in luoghi diversi e lo spontaneo incrociarsi degli eventi. In questo caso questa sincronicità mi fa pensare che sia più vicino il tempo in cui ogni barriera non avrà più ragione di esistere. Ho sempre inteso l’atto fotografico come una proiezione dello sguardo, anche quando la tecnica fotografica esigeva una dimestichezza del processo di realizzazione di una immagine, più tecnica di quello attuale digitale. Ho sempre indagato sulla creazione personale della realtà che la mia collega Sonia Maccari ha ben espresso nell’introduzone nel laboratorio come la ricostruzione del punto cieco dell’occhio, e che ben si definisce nel concetto di Maya, caro alle filosofie orientali. Ora mi ritrovo, forse solo per vocazione, per destino o per sincronicità ad addentrarmi sempre di più nel mondo invisibile agli occhi, ma ben percettibile con gli altri sensi.
E’ un mondo che via via esploro e osservo, anche lavorando e conoscendo le persone cieche e ipovedenti. Sto imparando a comprendere la realtà che costruiscono, fatta di qualche limitazione e di tante risorse. Limitazioni e difficoltà fatte a volte di stupidi ostacoli frutto di stupide menti che stanno dietro a tutti e 5 i sensi, e abilità inaspettate e sorprendenti per le stesse stupide menti.
Chi non vede con gli occhi vede con qualcos’altro, e se gli occhi sono ritenuti lo specchio dell’anima posso senza dubbio affermare che l’anima si specchia anche in un tocco, in un sorriso o una parola, ed anche in una fotografia scattata senza vedere ma con l’animo aperto alla percezione. E’ interessante infatti notare i diversi stili nelle foto scattate durante il laboratorio, solo in parte frutto delle caratteristiche proprie dal mezzo utilizzato (qualcuno una reflex, alcuni lo smartphone, o una compatta). Si riscontrano per ciascuno tratti precisi nella ripetività di certi tagli, o punti di vista, nella predominanza di scatti in determinate situazioni. La proposta finale del laboratorio era sulla costruzione di un ritratto, e i risultati sono stati molto diversi per ciascuno: chi ha privilegiato la distanza e la figura intera nel contesto, chi l’esplorazione del dettaglio. Il riscontro dei partecipanti è stato che giocare a ritrarre o esser ritratto senza l’imbarazzo dello sguardo e/o dell’obiettivo porta verso una maggiore disinvoltura e tranquillità. Potrebbero quasi quasi crearsi i presupposti per un nuovo modo di fotografare e di ritrarre, chissà.
Conclusa questa bellissima esperienza e con la ferma intenzione di portarla avanti magari arricchendola di nuovi spunti, ringrazio per questa opportunità Gaia Germanà per avermi coinvolta , Sonia Maccari per la condivisione, Felice Tagliaferri , Stefano Ughi e il Gruppo Elettrogeno per aver reso questo laboratorio pieno di spunti e possibiilità, lo Spazio Dynamo e Itaca per il luogo e l’evento e soprattutto tutti i partecipanti al gruppo Beatrice, Ouieme, Silvia, Milvia, Cristina, Sofia, Bernardo, Fulvio, Mimmo, un grazie di cuore.
Beatrice Pavasini